La scelta tra strumenti a gestione attiva e a gestione passiva spesso divide gli investitori.

Nel linguaggio comune il termine “attiva” ha di solito una connotazione positiva, associata a una maggiore determinazione e dinamicità, mentre “passiva” si lega a sfumature negative, come pigrizia e scarsa capacità di prendere l’iniziativa.
Al contrario, negli investimenti, attiva e passiva sono aggettivi che non esprimono un giudizio di valore ma rappresentano due strategie differenti. Mettiamo quindi da parte il linguaggio comune e definiamo meglio il significato finanziario di gestione attiva e gestione passiva.
Gestione Attiva e Passiva: cosa sono
La gestione passiva, detta anche “indicizzata”, viene utilizzata da un gestore che compra strumenti e titoli che replicano nel modo più fedele possibile un benchmark, cioè un indice di un mercato di riferimento. In questo caso gli strumenti più diffusi ed utilizzati sono gli ETF.
La gestione passiva si basa sulla teoria del mercato efficiente che afferma che i mercati sono efficienti e non possono essere sistematicamente battuti nel lungo periodo. Meglio quindi replicare il mercato e non provare a superarlo in quanto comporterebbe solo l’assunzione di maggiori costi di transazione.
Proprio questo, invece, è l’obiettivo della gestione attiva: il gestore seleziona gli asset per provare a ottenere un rendimento maggiore di un indice o del mercato di riferimento. Comporrà quindi il portafoglio, venderà e acquisterà i titoli, in base alle sue aspettative e alle sue analisi.
Quali sono le differenze dei Costi?
Nei fondi a gestione passiva non viene eseguita un’approfondita analisi e selezione dei titoli: la scelta si limita alla riproduzione “in piccolo” degli indici che si intendono replicare. I costi di ricerca e gestione sono quindi minimi e possono essere ulteriormente compressi con l’aiuto della tecnologia.
La gestione attiva, invece, richiede analisi approfondite, ricerche, esperienza, un continuo monitoraggio e quando necessario, l’attuazione di operazioni che limitano i rischi e sfruttano le opportunità quando possibile. Per decidere quali sono gli asset capaci di battere il mercato, la gestione attiva ha quindi bisogno di più risorse e di conseguenza ha tendenzialmente costi più elevati.
Pro e contro
Una volta non esistevano i fondi passivi, sono nati grazie a John Bogle fondatore di Vanguard una volta resosi conto che i fondi attivi, levate le commissioni, non superavano quasi mai il mercato di riferimento. Anche oggi i dati suggeriscono la stessa cosa, specialmente sul lungo periodo vince quasi sempre la gestione passiva. Lo stesso Warren Buffett, largamente ritenuto l’investitore migliore di sempre ha più volte sostenuto che investire passivamente fosse la scelta migliore per la maggior parte delle persone.
La gestione attiva può chiaramente portare a remunerazioni maggiori, le difficoltà tuttavia stanno nel saper individuare un gestore effettivamente capace di ottenerle. Stabilire la bravura di un gestore non è infatti un compito facile: brevi periodi di performance positive o negative possono non essere sufficienti per giudicare la sua operatività perché anche le condizioni di mercato influenzano molto i risultati. Per questo motivo, solitamente, la valutazione di un gestore si effettua basandosi su un periodo temporale di minimo 5 anni.
Se la gestione passiva ha nei costi ridotti, il proprio punto forte, la gestione attiva ha altri pregi. Un portafoglio su misura, infatti, può essere più reattivo ai cambiamenti.
Inoltre, la replica del mercato tipica della gestione passiva tende a favorire società a elevata capitalizzazione. Questa tendenza provoca almeno due distorsioni:
- le società più piccole che non fanno parte del benchmark incontreranno maggiori difficoltà nella raccolta di capitale;
- la concentrazione verso un numero limitato di società esclude dal panorama della gestione passiva le opportunità che si possono trovare in società più piccole e che non sono incluse nei principali indici globali.