L’incremento dei prezzi è un indicatore fondamentale che influisce sulle tasche delle famiglie, sugli investimenti e sulla politica monetaria. Ecco come.

Che si parli di bilancio familiare, di politica monetaria o di investimenti, spunta sempre una parola: inflazione. Pochi altri indicatori economici hanno un impatto così vasto e profondo. Ma che cos’è l’inflazione e quale significato assume, in questo ambito, il termine “tasso”?
Cos’è l’inflazione
In un’economia di mercato, i prezzi di beni e servizi non sono fissati. Variano per molteplici fattori (primi tra tutti l’andamento di domanda e offerta) e possono diminuire o aumentare. In quest’ultimo caso, si parla di inflazione, ossia di un incremento generalizzato dei prezzi che non si riflette, quindi, su una singola voce ma è di scala più ampia. L’aumento del costo della vita genera una riduzione del valore reale di un’unità di moneta. In altre parole: se l’inflazione aumenta i nostri soldi perdono di valore rispetto al passato.
Che cos’è il tasso d’inflazione e come si calcola
L’inflazione è espressa con un tasso che indica, in termini percentuali, la variazione del potere d’acquisto rispetto al periodo precedente (un trimestre o un anno). Si tratta di un indicatore statistico, che quindi non riflette l’andamento dei prezzi di ogni bene o servizio né gli effetti concreti su ciascun consumatore. Ognuno, infatti, compone la propria spesa secondo i propri gusti, le proprie disponibilità e le proprie necessità. Non va dimenticata la componente territoriale: il rincaro dei prezzi non ha mai una geografia omogenea, neppure all’interno dello stesso Paese.
Il tasso di inflazione prova quindi a quantificare l’impatto su un consumatore medio. Per farlo, gli istituti statistici incaricati del calcolo (in Italia l’Istat) compongono un cosiddetto “paniere” di beni e servizi, costruito con l’obiettivo di dare una rappresentazione realistica dei consumi delle famiglie (dall’energia agli alimenti, dalle assicurazioni agli elettrodomestici). Il tasso di inflazione rappresenta l’aumento dei prezzi dell’intero paniere in un determinato periodo.
Perché l’inflazione è importante
L’inflazione è importante perché ha un impatto tangibile in diversi ambiti. Il più immediato e visibile riguarda il potere di acquisto: più l’inflazione è alta, minore sarà il valore reale di quanto un individuo possiede. Rispetto a un anno prima, ad esempio, con gli stessi soldi potrà comprare meno beni. Allo stesso tempo, i risparmi “sotto il materasso” si svaluteranno.
In definitiva: un’inflazione alta – che tende a presentarsi quando l’economia cresce – impoverisce le famiglie. Un’inflazione moderata, però, è salutare. La deflazione (ossia una riduzione dei prezzi che tende a manifestarsi quando l’economia rallenta) sfavorisce i creditori, danneggia il tessuto produttivo (i margini si riducono o si annullano perché le vendite non coprono i costi) e disincentiva gli investimenti.
Una questione di equilibrio
Serve quindi equilibrio, che – tradotto in termini percentuali – è approssimato da un tasso d’inflazione vicino ma non superiore al 2%. È questa la soglia tenuta in considerazione dalla BCE e da altre Banche Centrali: non un limite rigido ma un punto di riferimento ritenuto ottimale per supportare la stabilità dei prezzi. Per raggiungerlo la BCE, così come le altre Banche Centrali, ha a disposizione alcuni strumenti di politica monetaria. Aumenta i tassi d’interesse quando si intravede un’inflazione eccessiva strutturale (con il rischio di frenare la crescita economica), li abbassa quando l’inflazione è troppo blanda (anche per sostenere l’economia in difficoltà). E, nel caso in cui non fossero sufficienti tassi minimi, interviene con operazioni non convenzionali come, ad esempio, il quantitative easing ovvero un’operazione che aumenta la moneta nel sistema mediante l’acquisto di titoli di Stato o altre obbligazioni sul mercato.
