Tra i pregi del private equity c’è sicuramente la capacità di fornire, in modo agile, liquidità e competenze alle imprese.
Il mondo finanziario cambia di continuo e spesso vengono introdotti nuovi vocaboli o espressioni che diventano ogni giorno sempre più popolari, come nel caso del private equity, un’attività dalle caratteristiche molto specifiche. Vediamo quali sono.
Private equity: che cos’è
Il Private equity è una tipologia particolare di fondo di investimento. Per capire il suo significato è utile partire ad analizzare le singole parole: private, cioè privato, ed equity, che si traduce con capitale, investimento.
Il private equity è quindi un’operazione finanziaria di medio lungo termine attraverso la quale un investitore punta il proprio capitale di rischio su aziende “private”.
Attenzione a non farsi ingannare dalla traduzione: “privato”, in questo caso, ha un significato ben preciso: vuol dire non quotato in borsa. I titoli della società sono nelle mani di investitori, founder, dipendenti e non possono essere scambiati sui listini finanziari.
A differenza di un investimento tradizionale, il private equity, spesso attraverso un fondo d’investimento, seleziona aziende con grandi potenzialità di sviluppo e crescita con l’obiettivo di valorizzarle, per poi trarre profitto dalla vendita della propria quota o dall’approdo in borsa.
Oltre a indirizzarsi su società non quotate e con un forte potenziale di crescita, c’è un’altra caratteristica che lo distingue dagli investimenti tradizionali: l’attività non si limita a fornire liquidità all’azienda target ma la supporta e, in alcuni casi, la guida. In sostanza l’investitore mette a disposizione della società le proprie competenze e il proprio network, contribuisce alla sua promozione e, soprattutto, partecipa alle decisioni strategiche.
Come funziona questo genere di fondi?
Una società di private equity investe capitale proprio e raccoglie quello di altri investitori istituzionali all’interno di un fondo. È, in pratica, il “serbatoio” dal quale attingere per creare un proprio portafogli di investimenti. Questa società è detta general partner perché è responsabile della gestione e delle decisioni strategiche riguardanti il fondo. Gli altri investitori sono invece detti limited partner perché sono responsabili solo e soltanto del proprio capitale, senza un ruolo attivo nella gestione corrente.
I fondi di private equity identificano, già in partenza, quanti soldi investire, la durata della propria attività (di solito inferiore ai dieci anni) e i propri obiettivi.
Si distinguono in base ai target: i fondi che guardano a un settore specifico, come ad esempio la sanità, le energie rinnovabili, le infrastrutture oppure quelli che si concentrano su imprese medio-piccole (fino a 250 dipendenti e con un fatturato fino a 50 milioni di euro) o su aziende di dimensioni maggiori. Ci sono fondi che acquisiscono solo quote di minoranza, affiancando il management in carica e altri interessati solo a conquistare la maggioranza.
Il percorso di un investimento di private equity si conclude con il “disinvestimento”, ossia con la cessione, totale o parziale, della quota di partecipazione e può avvenire attraverso la quotazione in borsa dell’azienda o la vendita a un’altra società, a nuovi o vecchi soci.
Il rischio zero non esiste, c’è sempre probabilità di un insuccesso: in questo caso, l’investitore vende la propria partecipazione o chiude l’impresa target per tamponare le perdite.
Un esempio pratico
Un fondo di private equity, dopo un’attenta ricerca, individua un’impresa familiare che produce macchinari industriali. È un’azienda in salute, che però, secondo gli investitori, non ha ancora espresso tutto il proprio potenziale. Il fondo acquista per 5 milioni di euro il 51% delle azioni, in modo da avere la maggioranza e il controllo della società.
Contribuisce a riorganizzarla e affianca l’amministratore delegato, nipote del fondatore e azionista di minoranza, nella gestione. Dopo due anni, l’azienda è diventata più solida e ha aumentato il fatturato del 30%. Il fondo decide allora che i tempi sono maturi per “disinvestire”. Vende il proprio 51% in parte all’amministratore delegato e in parte a un nuovo socio per un totale di 8 milioni di euro. L’operazione è stata un successo, con un ricavo di 3 milioni.