Come nascono le startup?

Queste imprese si distinguono dal resto del settore per la loro capacità di pensare fuori dagli schemi e di mettere in pratica idee audaci e rivoluzionarie.

Quando si parla di startup, si apre un universo di storie imprenditoriali di grande innovazione. Alcune riescono a scalare i mercati, crescendo in dimensioni e fatturato, altre, invece, non ce la fanno e chiudono i battenti ancora prima di diventare “grandi”.

Cos’è una startup?

Una startup è un’azienda o un’organizzazione che è stata fondata di recente e cerca di creare un’attività commerciale innovativa e sostenibile. Le startup sono spesso associate all’uso di tecnologie avanzate e sono orientate a creare soluzioni innovative per problemi esistenti o nuovi bisogni del mercato.

Erano delle startup avviate nei garage della Silicon Valley molte delle grandi compagnie che oggi costituiscono il panorama delle Big Tech, da Facebook a Google. Nella lista degli uomini più ricchi del pianeta di Forbes, infatti, troviamo molti nomi che devono la loro fortuna alla creazione di una startup, da Bill Gates a Mark Zuckerberg. 

Ma cos’è che la distingue una nuova impresa? Il primo elemento è la creazione o lo sviluppo di un prodotto o servizio innovativo, spesso basato su tecnologie avanzate, che genera forti cambiamenti nel settore in cui opera. Frequentemente le startup nascono per applicare metodi non tradizionali a industrie già esistenti: basti pensare al caso di Airbnb per gli affitti o Spotify per l’ascolto della musica.

Una delle caratteristiche è infatti quella di rivolgersi a mercati in gran parte non sfruttati, dove quindi c’è un potenziale di crescita alto.

Di solito, il costo iniziale per la creazione di una startup è molto contenuto rispetto a quello di una azienda tradizionale, avendo una struttura organizzativa flessibile, con sedi fisiche piccole e organici ridotti, costituiti da team di giovani fondatori motivati e altamente qualificati. Nel primo periodo di attività, però, i costi di ricerca e sviluppo possono anche essere elevati: ecco perché sono di solito alla ricerca di finanziamenti e investitori attraverso modalità diverse, dai venture capital al crowdfunding, dai bandi pubblici ai finanziatori privati.

I passi per ottenere il primo investimento

Uno dei problemi principali per una startup è ottenere investimenti, sia nelle prime fasi sia nella fase di crescita o “scale up”.

Le quantità di finanziamenti iniziali variano in base al settore: un’impresa innovativa che sviluppa un software, per esempio, ha meno bisogno di capitali iniziali rispetto a una startup del settore biotech.

Lo startupper che è alla ricerca dei primi investitori deve realizzare una ricerca di mercato, per capire come e dove si può inserire il prodotto o il servizio che propone e, soprattutto, se davvero rappresenta un’idea innovativa o se, invece, è già stata realizzata. In questo modo, si possono conoscere i potenziali clienti, i concorrenti e le condizioni del settore in cui si vuole operare.

Una volta analizzato il mercato, si procede con la creazione del business plan per presentare la propria idea agli investitori, illustrando come si pensa di acquisire clienti, la pianificazione delle entrate e dei costi.

Prima di chiedere finanziamenti, per testare il mercato, è utile fare anche un Minimum Viable Product (MVP), ovvero la simulazione del prodotto o servizio che si vuole sviluppare in modo da poter essere utilizzato dai primi clienti. Il Minimum Viable Product è importante per validare l’idea, per evitare di creare un prodotto o un servizio che i clienti non desiderano o che non risolve in maniera efficace un problema.

Startup: come “scalare” il mercato

Una volta superata la fase di seed/early stage, la startup è pronta a “scalare” il mercato, ovvero crescere velocemente in dimensioni, clienti e fatturato. Per fare questo, una startup deve sfruttare le economie di scala, ovvero far crescere il prodotto senza far aumentare parallelamente i costi di produzione.

Un business scalabile ha una struttura di costi fissi che tende a stabilizzarsi nel medio e lungo periodo, con costi variabili ridotti o del tutto insignificanti. Nel lancio di un software innovativo, ad esempio, i costi fissi sono gli stipendi degli sviluppatori e i costi variabili gli investimenti in pubblicità. Se partendo da questi costi poco variabili, il margine di guadagno aumenta in progressione, si replica in maniera esponenziale e ottiene risultati sempre migliori, allora la startup può ambire a una crescita in termini di mercato e fatturato.

Round di investimento, gli unicorni e la quotazione

Nel momento in cui nasce un’idea innovativa, lo startupper si mette alla ricerca delle prime risorse per supportare la propria idea di business.

In questa prima fase, i fondi possono arrivare in primo luogo dai cosiddetti FFF, ossia family, fools and friends, dal crowdfunding o dai business angel, cioè gli investitori che scelgono di partecipare all’avviamento di un’impresa e possono diventarne soci. Questa è la cosiddetta fase di pre-seed, in cui lo startupper può fare affidamento anche sui propri risparmi e su quelli di amici e familiari.

Dopo aver superato la prima fase informale, si arriva al finanziamento feed. In questo caso, partecipano agli investimenti sia coloro che sono coinvolti nel pre-seed, ma anche i nuovi investitori angel, incubatori e acceleratori. Si possono organizzare anche raccolte fondi, nell’ottica di preparare e perfezionare il prodotto.

Nella fase successiva di early stage, poi, il focus della startup è ottenere un feedback dal mercato e individuare il giusto prodotto per ottenere i primi ricavi. In questa fase delicata, è importante attirare l’attenzione degli investitori. I capitali in questa fase arrivano da venture capital o crowdfunding.

La startup a questo punto ha preso la forma di una vera e propria azienda che punta a raggiungere un modello di business sostenibile. È la fase di early growth, in cui si passa ai round di investimento di Serie A e Serie B, che differiscono per entità del rischio e del finanziamento. I round di serie A provengono da venture capital e fondi di private equity, con l’obiettivo di facilitare l’impresa nello scalare posizioni di mercato. I round di investimenti di Serie B sono più corposi dei precedenti, permettendo al team di allargarsi e conquistare quote di mercato maggiori.

Una volta che il fatturato sale e si è raggiunto un numero di clienti notevole, siamo alla fase di growth e arrivano i round di investimento di serie C, quelli più a basso rischio. Coinvolgono, oltre ai venture capitalist e agli angel investor, anche banche di investimento o hedge fund.

A questo punto, l’azienda può trasformarsi anche in un “unicorno”, termine coniato nel 2013 da Aileen Lee, fondatrice del fondo di venture capital Cowboy Ventures, per descrivere le società tecnologiche valutate più di 1 miliardo di dollari. La valutazione degli unicorni viene fatta da venture capitalist e investitori che hanno partecipato ai round di finanziamento delle società e non è strettamente correlata alla loro effettiva performance finanziaria.

Dopo i diversi round di investimento, la startup si avvia verso l’exit, il passaggio dallo stato di impresa giovane ad azienda, che di solito rappresenta il momento di uscita degli investitori dalla proprietà della startup. Le strategie possono essere diverse. Si può scegliere di quotarsi in Borsa e di solito lo si fa attraverso una IPO, Initial Public Offering, offerta pubblica iniziale. In alternativa, si può scegliere di vendere la startup ad un’altra azienda. Opposto all’acquisizione, c’è anche il buyback, nel caso in cui il fondatore scelga di ricomprare le quote cedute ai soggetti che, nel corso degli anni, hanno investito nella società.

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