Una generazione più ottimista, l’altra più cauta e attenta alla sostenibilità: ecco come padri e figli guardano (in modo diverso) a investimento e risparmio.

A ogni generazione il suo modo di investire e risparmiare. La gestione delle risorse cambia in base a diversi fattori, non solo finanziari: è influenzata da momenti storici, abitudini, tecnologia. Così è anche per i Baby Boomer (nati tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e il 1964) e i Millennial (nati tra il 1981 e il 1996).
Baby Boomer più ottimisti
Sia gli uni che gli altri sono, come tutti, figli del proprio tempo. I Baby Boomer, come suggerisce il nome, sono cresciuti in un periodo di grande crescita e ottimismo: sono gli anni del boom economico post-bellico. Un vissuto che sembra aver avuto un riflesso sugli investimenti: i Boomer hanno una grande fiducia negli investimenti di lungo periodo, tendono a detenere un asset per più tempo, ad avere un approccio all’investimento più aggressivo e, di conseguenza (al netto delle differenze tra Paese e Paese), a puntare molto sul mercato azionario.
I Millennial sono invece piuttosto freddi nei confronti degli investimenti finanziari, tendono ad avere un approccio di più breve periodo e ad accumulare liquidità. In altre parole: sono più propensi al risparmio e, in generale, a un approccio più cauto. Lo confermano i dati di Assogestioni pubblicati nel 2020 e riferiti al 2019: l’età media dei sottoscrittori di fondi italiani era di 60 anni. Un quinto superava i 75 anni (raddoppiando la quota del 2002). I giovani investitori tra i 26 e i 35 anni sono invece scesi dal 15% del 2002 al 6% del 2019. Percentuali che riflettono proprio lo slittamento generazionale.
Millennial: investitori giovani più attenti al risparmio
Per esigenza o per attitudine, i Millennial sono capaci di risparmiare. Uno studio di Bank of America, ad esempio, ha notato come inizino a mettere da parte risorse per la pensione già attorno ai 24 anni, ben prima rispetto ai Baby Boomer, che hanno aspettato i 33 anni prima di preoccuparsene. Il sondaggio si riferisce al solo mercato americano (quindi con un assetto previdenziale più privatistico rispetto a quello europeo), ma è comunque un indice che racconta il differente approccio di due generazioni.
Diversi osservatori hanno ipotizzato che questa cautela possa essere figlia della crisi del 2007-2008. Proprio in quegli anni, i Millennial più maturi si stavano affacciando all’età adulta. Il loro primo contatto con il mondo degli investimenti e del risparmio è quindi arrivato nel contesto di una recessione di matrice finanziaria. Da qui sarebbe derivato un approccio più conservativo. Da questo punto di vista, i Millennial sono più simili ai loro nonni (che hanno vissuto durante la Seconda Guerra Mondiale) e bisnonni (cresciuti tra Grande Depressione e Primo Conflitto Mondiale) che non ai genitori-Boomer.
Cambiano priorità e spese
Le due generazioni differiscono non solo per il modo di investire e risparmiare ma anche nel modo di consumare. L’acquisto di alcuni beni durevoli, come ad esempio l’auto, è profondamente cambiato. Si deve, in parte, a una ridotta disponibilità finanziaria. Ma non solo: sono cambiate le priorità. Tra i Millennial si è indebolita la visione della vettura come status symbol per lasciare spazio a un approccio più utilitaristico. Acquistare non è più così importante come era per i Baby Boomer, anche perché sono state accettate nuove modalità di fruizione, come il car sharing. L’auto è solo un esempio di come siano cambiate priorità e gestione delle risorse (spesso minori rispetto al passato): i Millennial tendono a concentrarsi su alcuni obiettivi (investire nella formazione e nella carriera), mettendone da parte o ritardandone altri, come l’acquisto di un’auto, di una casa o la costituzione di una famiglia.
L’attenzione alla sostenibilità dei giovani investitori
Nella vita di tutti i giorni come negli investimenti, i Millennial si stanno dimostrando più attenti alla sostenibilità. Secondo un sondaggio globale della società di consulenza deVere, il 77% dei giovani investitori reputa prioritaria la valutazione dei criteri ESG (Environmental, Social and Governance). Bada quindi molto di più alle caratteristiche ambientali ed etiche che non al rendimento atteso (indicato dal 10% degli intervistati), ai risultati passati (7%) e al rischio (4%).
Lo studio “Swipe to invest: the story behind millennials and ESG investing” di MSCI ESG Research conferma questo trend: nel 2019 il 95% dei Millennial (nove punti percentuali in più rispetto a due anni prima) si è detto interessato agli investimenti responsabili. Questo orientamento, oltre a essere in linea con una più spiccata sensibilità, è coerente con la cautela che contraddistingue la generazione: gli investimenti ESG sono infatti ritenuti meno esposti a rischi.
È una tendenza che si trasforma in un messaggio, forte e chiaro, al mondo economico-finanziario: l’89% dei Millennial si aspetta che le società finanziarie analizzino i criteri ESG. Non si tratta solo di buoni propositi, ma di un approccio che ha ricadute concrete: il 57% dei giovani investitori si rifiuta di sostenere imprese che hanno un impatto negativo sulla salute e sull’ambiente. L’attenzione alla sostenibilità potrebbe quindi avere una portata sistemica perché – afferma un rapporto di Accenture – nei prossimi anni 30 miliardi di dollari in valore patrimoniale si sposterà dalle mani dei Baby Boomer a quelle dei Millennial.
Il rapporto con la tecnologia
I Millennial sono cresciuti in tempi di profonda accelerazione tecnologica. Parlare però di una generazione “nativa digitale” è, in parte, fuorviante. È vero che, rispetto ai Baby Boomer, hanno maggiore dimestichezza con social media, e-commerce, chatbot. Ed è quindi vero che sono più propensi a utilizzare servizi che permettono di gestire investimenti e risparmi dal proprio smartphone. Ma, afferma un’indagine di Cfa Institute del 2018, la visione dei Millennial che migrano in massa verso soluzioni digitale sarebbe “un mito”. Si tratta infatti di un gruppo molto eterogeneo, con grande distanza tecnologica tra i nati nei primi anni ’80 e quelli di metà anni ’90. Da questo punto di vista, i Millennial sono una generazione “di mezzo”. Sempre secondo l’indagine, più di un giovane investitore su due esprimeva interesse nei Roboadvisor, ma solo il 3% li usava. Inoltre,il 58% affermava di preferire un’interazione faccia a faccia con un professionista finanziario: un risultato molto simile a quello emerso da una ricerca simile condotta sui Baby Boomer (60%).
Vista la velocità con cui cambiano le abitudini finanziarie e (soprattutto) digitali, a distanza di quasi tre anni la quota di adozione di soluzioni tecnologiche è di sicuro aumentata. Ma il sondaggio di Cfa Institute racconta comunque una caratteristica: nel rapporto con la tecnologia, i Millennial sono una generazione per nulla omogenea, che include nativi digitali, utenti esperti (i cosiddetti “digital savvy”) e altri con abitudini molto simili a quella dei loro genitori.